Di lui si sa pochissimo ma a sufficienza per ritenere questo padovano dalle mani d’oro, nientemeno che l’inventore del pianoforte. Prima delle sue innovazioni, il clavicembalo era il signore del repertorio musicale del XVII e XVIII secolo con le sue corde messe in vibrazione dal pizzico di un piccolo plettro senza però poter modificare l’intensità del suono, a questo provvederà appunto la rivoluzione del pianoforte che farà percuotere le corde da un martelletto, il tasto muovendosi alzerà un blocchetto di legno rivestito di feltro morbido che sta appoggiato sulla corda che, libera, vibrerà finché non si decide di far ritornare il tasto nella posizione di riposo. I clavicembali erano perlopiù di legno di cipresso, tastiera in legno di bosso, nei più raffinati questa era decorata in avorio, le casse esterne solitamente dorate o dipinte ma, secondo Ralph Kirkpatrick, “ il loro tono aveva poco della delicatezza dei franco-fiamminghi Ruckers o il suono caldo degli inglesi Kirkman e Tschudi, conservando qualcosa dell’asprezza del cedro e del cipresso di cui erano fatti”. Bartolomeo Cristofori, nato a Padova nel 1655, finissimo artigiano, artefice di spinette ovali, avrebbe imparato il mestiere dal liutaio Nicolò Amati che lo ebbe come apprendista a Cremona. E’ invece già tornato a Padova quando lo individua Ferdinando dei Medici intorno al 1690 durante un suo passaggio in città, diretto forse verso un Carnevale veneziano. Ritroviamo Bartolomeo a Firenze che parrebbe lamentarsi di essere stato aggregato tra i più di 100 artigiani che lavorano nella Galleria degli Uffizi in un frastuono assordante nel quale proprio non sa ritrovarsi. Le passioni del Principe Ferdinando sono l’architettura e la pittura ma si ritiene che suonasse bene il clavicembalo e ne possedesse più d‘uno nella sua collezione se nelle sue residenze, quella invernale di Palazzo Pitti come in quella di Pratolino, (per il cui teatro componeva anche Domenico Scarlatti) vorrà, come addetto alla manutenzione degli strumenti, proprio Bartolomeo Cristofori che intanto si applicava anche al suo lavoro là dove lo aveva interrotto a Padova perché nel 1709 ha costruito il suo primo “cembalo col piano e forte”. Lo svilupperà finché nel 1711, giusto trecento anni fa, la sua invenzione, è ufficialmente descritta nel Giornale dei letterati d’Italia, da Scipione Maffei e battezzata gravecembalo col piano e col forte. Un esemplare risulta acquistato dal Re del Portogallo alcuni dalla Regina di Spagna Maria Barbara, ma la diffusione si rivela limitatissima. Non meglio andrà ad un organaro tedesco, Gottlieb Silbermann che nel 1726 si dette a costruire pianoforti sull’esempio dell’italiano ma con scarsissimi riscontri anche lui finché, ma dovranno passare altri vent’anni, il re Federico II di Prussia apprezzò le novità dello strumento che arriveranno fino alla considerazione e all’apprezzamento di Johann Sebastian Bach. Se già lo stile clavicembalistico si era differenziato da quello organistico che lo precedeva, con il pianoforte si compie la parabola di una perfezione. Abbiamo detto che il suono del clavicembalo risultava tintinnante, monotono e senza possibilità di venir prolungato né colorito: ci dice Massimo Mila che il trionfo della cosiddetta forma-sonata cammina a lato dell’esaurirsi delle possibilità di quest’ultimo, dove lo stile drammatico richiede una maggior durata dei suoni, la possibilità insomma di ottenere il piano e il forte, questo diverrà invece appannaggio del pianoforte, in quella mirabile architettura formale che si incarnerà nel genio assoluto di Beethoven. E dire che proprio questi, sarà protagonista di uno spiacevole torto ai danni di Cristofori quando, nel 1817, terminata la Sonata in La maggiore, è alle prese con il titolo da darle. In quel tempo il musicista si era imbattuto in una associazione che tendeva a purificare la lingua tedesca da tutta una serie di espressioni di influenza straniera, e Beethoven decise di sostituire da quella Sonata il termine “pianoforte” con il tedesco Hammerklavier. Non contento, in una lettera a Tobias Haslinger sosterrà che “Hammerklavier è certamente parola tedesca e anche l’invenzione è senz’altro tedesca” facendo così oltre ad un grosso errore, un grave torto a Bartolomeo Crtistofori. Cosa resta oggi del geniale italiano? Pare tre esemplari della sua maestria, tre pianoforti in legno di cipresso conservati uno a Lipsia, uno a New York e uno anche in Italia, a Roma, nel contesto della raccolta che lo Stato acquistò da Evan Gorga, presso il Museo Nazionale degli strumenti musicali di Piazza Santa Croce in Gerusalemme. Di questi misteriosi scrigni sonori, purtroppo, non si conosce il suono: anche se perfettamente restaurati sono ormai inservibili allo scopo cui li destinò il suo inventore.
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